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Il progetto PRISM e l’indagine condotta da Cittalia
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bet | 3/3 | Sana | 19.03.2017 | Hajmi | 23,1 Kb. | | #313 |
Il progetto PRISM e l’indagine condotta da Cittalia
Su questo tema è incentrato il progetto PRISM, dedicato alla lotta contro la diffusione della discriminazione sui nuovi media e sui social network. Cittalia, in qualità di Fondazione ricerche dell'ANCI, è attiva nello studio di possibili strategie di contrasto a tale tipologia di fenomeni nell'ambito del progetto, che vede impegnati 12 partner tra università, associazioni e Ong provenienti da cinque paesi diversi (Italia, Francia, Spagna, Romania, Gran Bretagna), con l'ARCI come capofila. Il progetto si propone di individuare e implementare strategie e azioni che puntano alla sensibilizzazione, all’informazione e alla disseminazione, al fine di aumentare il numero di segnalazioni e denunce, per promuovere un uso più consapevole del linguaggio e per ridurre l’uso e l’impatto dell’hate speech.
Nell’ambito del progetto, Cittalia ha svolto una ricerca che ha previsto, da un lato, 27 interviste in profondità a giovani migranti potenziali vittime di hate speech e a testimoni privilegiati (esperti e professionisti che a vario livello si occupano del fenomeno), dall’altro lato, una mappatura delle pagine e dei profili di social media relativi a 5 gruppi/organizzazioni/partiti politici che si sono contraddistinti per l’elevata capacità di diffondere i discorsi di incitamento all’odio, per l’ampia influenza, sia nella vita politica/pubblica, sia in rete, nonché per l’attiva presenza sui social network. I gruppi individuati sono Lega Nord, CasaPound Italia, Forza Nuova, Resistenza Nazionale (sito di “controinformazione” xenofobo e razzista) e Losai.eu (network di siti web gestiti da giovani cattolici estremisti).
In base a quanto emerso dalla mappatura condotta, l’incitamento all’odio sembra vertere più sulle tradizionali parole chiave della retorica populista e delle nuove destre (“popolo”, “sovranità”, “italiani”, “immigrati”), che su parole marcatamente d’odio (la parola più radicale in tal senso è quella formata dall’hashtag #stopinvasione): l’hate speech appare cioè condotto attraverso strategie retoriche e discorsive che non si esplicitano attraverso parole apertamente violente e illecite; è ipotizzabile che ciò sia determinato dalla necessità di non incorrere in sanzioni penali e di mantenersi nell’ordinarietà e nella comune accettabilità delle retoriche populiste all’interno del dibattito pubblico.
Gli stessi canali di denuncia, che pure sono già a disposizione delle vittime o di coloro che volessero segnalare casi alle autorità (UNAR, Polizia Postale e delle Comunicazioni e OSCAD), sono poco conosciuti e utilizzati. Per quanto riguarda l’autoregolamentazione delle piattaforme di social network e le modalità di segnalazione, nel corso dell’indagine si è rilevata soprattutto tra i giovani una scarsissima fiducia nella loro efficacia: l’atteggiamento prevalente è quello di rassegnazione di fronte agli episodi in cui incorrono. Va però anche sottolineato che la stragrande maggioranza dei giovani intervistati non ha mai ricevuto informazioni sul tema, né a scuola, né all’università o sui luoghi di lavoro.
Molti professionisti intervistati hanno fatto presente il rischio che la rete possa contribuire alla radicalizzazione del dibattito. Tuttavia, rimane incerto se tale radicalizzazione tenda a limitarsi al piano simbolico e del discorso (quello che viene definito un “attivismo da tastiera”), o se il rischio di trasporsi in un’azione reale costituisca una minaccia concreta e non insolita, com’è ad esempio avvenuto nel caso di Stormfront Italia, che ha portato all’arresto di alcuni membri del gruppo.
Non si può tuttavia combattere un fenomeno estraniandolo dal contesto. Il dibattito sugli effetti e le “responsabilità” dei new media non deve trascurare la normalizzazione e la legittimazione dei discorsi d’odio tramite i tradizionali mass media e la quotidiana propaganda politica. D’altro canto, la sanzione penale è uno strumento importante, ma solo uno degli strumenti a cui ricorrere. Ciò che emerge dall’indagine condotta da Cittalia nell’ambito del Progetto PRISM è che sia i giovani sia i professionisti e gli esperti che a vario livello si occupano di tale tematica concordano sull’importanza di applicare in maniera più rigorosa ed efficace gli strumenti normativi e giuridici esistenti, ma al contempo vi è la consapevolezza che questi di per sé non siano sufficienti a contrastare fenomeni complessi come i reati di hate speech: essi esigono infatti una costante battaglia etica, culturale e politica, da parte di tutti gli attori sociali, mirata a creare nella società gli anticorpi capaci di contrastare e limitare considerevolmente il fenomeno.
Si ritiene necessario l’affermarsi di una diversa attitudine culturale che coinvolga l’insieme della società: dai singoli individui, dai politici agli insegnanti, ai professionisti dell’informazione fino all’insieme dell’opinione pubblica. A tal fine, è opportuno attivare percorsi di responsabilizzazione per rendere tutti i soggetti (sia quelli istituzionali sia quelli della società civile) in grado di attivarsi per contrastare il fenomeno con attività di informazione e sensibilizzazione, ma anche per incentivare e sostenere azioni di difesa e di tutela delle vittime. In particolare, va sottolineata l’esigenza di una maggiore sensibilizzazione sul tema e di formazione ad un uso più consapevole ed “etico” di internet, a partire dalle scuole, così come risulta importante promuovere, a livello nazionale e internazionale, una collaborazione più proficua con i provider.
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